Rinnovo immobiliare commerciale italiano

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Il mercato immobiliare retail italiano? Da rinnovare. Almeno così esprimono le considerazioni riportate in un interessante approfondimento curato da Michela Finizio sul magazine Casa 24, de Il Sole 24 Ore, che traccia una fotografia piuttosto negativa del comparto nazionale, dove gli investimenti sono in calo dell’84 per cento su base annua, e dove gli operatori puntano più sulla riqualificazione dell’offerta esistente per intercettare nuovi formati di consumo, che sembrano ampiamente affermati nel Nord del Continente.

In merito, Jones Lang La Salle afferma che  “nei mercati avanzati, fino al 30% delle aree commerciali è potenzialmente obsoleto nella sua forma attuale. Gran parte dello stock italiano è piuttosto datato. In particolare, le regioni del Nord hanno registrato livelli di sviluppo significativo prima del 2000, per cui oltre la metà dello stock ha più di 12 anni. Nel Nord-Ovest (Liguria, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta) la percentuale raggiunge l’80 per cento. Al Centro e al Sud gli shopping center tendono a essere più moderni, costruiti negli ultimi dieci anni, in un mercato molto meno denso”.

“La riqualificazione è oggi la strada che vediamo più percorribile” – afferma in proposito, sulle stesse pagine, Davide Dalmiglio, capo retail capital markets di Jll Italia – “visti i costi e la difficoltà di ottenere nuove autorizzazioni amministrative sui greenfields. Il retail italiano gode di posizioni dominanti e location molto forti: la rivitalizzazione dell’esistente offre quindi ampi margini per aumentare la redditività” (qui crisi mercato immobiliare).
 
Complessivamente, la qualità media del retail italiano non è certamente eccelsa, con layout e strutture obsolete, bacini di utenza più deboli o in posizioni non dominanti (soprattutto nei centri secondari e terziari). “Alla luce della ricerca Retail 2020, Jll stima che gli immobili retail secondari – in una posizione non dominante e con un posizionamento competitivo non adeguato – non raggiungeranno più le valutazioni del 2007. Ciò suggerisce che molti sfitti non verranno più riempiti e un numero crescente di unità non sarà classificato come sfitto, ma come obsoleto” – conclude il quotidiano.

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